Mangiare Meridiano- abitudini alimentari e stile di vita del Cilento*
Come per tutti i popoli anche per quello cilentano l’alimentazione ha sempre rappresentato un elemento importante della sua identità culturale. In più per questa terra , le abitudini alimentari e lo stile di vita hanno dato lo spunto per la descrizione di una particolare combinazione di alimenti nota come la “dieta Mediterranea” che in alcuni casi viene riproposta per la prevenzione della malattie cardiocircolatorie, principale causa di morte nei paesi tecnologicamente avanzati. Due aspetti sono all’origine di questa identità culturale e sociale: la cultura materiale, nella quale si prende in considerazione la produzione , la conservazione, e la distribuzione degli alimenti, nonché i processi tecnologici a cui essi sono sottoposti (compresa la preparazione del cibo), e gli aspetti economici che si riferiscono all’ approvvigionamento alimentare del consumatore. La cultura non materiale nella quale si prende in considerazione l’organizzazione sociale ed eventualmente religiosa in relazione con la produzione, ma soprattutto con i consumi, i riti, che hanno una forte componente alimentare (offerte, feste, etc.), le attività di prestigio nelle quali gli alimenti svolgono una funzione ( convivi, pranzi di nozze), e per molti aspetti delle etnoscienze,l’etnozoologica e l’etnomedicina).Gli elementi della cultura materiale dell’alimentazione del Cilento sono in definitiva gli aspetti che riguardano la circolazione degli alimenti e la capacità economica per l’uomo di ottenerli. Sono invece gli elementi della sua cultura non materiale i valori e le ideologie della società in materia di alimentazione. Il valore simbolico, ma anche pratico in occasione delle feste è ampiamente documentato nel Cilento. In quest’area il momento di festa comunitaria più popolare che val di là dell’ambito familiare era rappresentata dal momento dell’uccisione del maiale. Racconta A.G. “A Sala Consilina, l’usanza era che si ammazzava il maiale, si facevano i maccheroni e prendeva anche un po’ di carne vaccina, era usanza che non mancasse mai il pollo. Chi li faceva imbottiti chi spezzati nel sugo, e per secondo si faceva il soffritto. Nel soffritto c’era tutto quello che non si poteva conservare del maiale, fegato, milza, polmoni etc. Era una festa e non mancavano mai i caciocavalli arrosto, i più grandi per intendersi, perché più grandi erano e più prendevano sapore. Era anche tipico preparare un insalata verde e quando questa non c’era si faceva una particolare insalata fatta di peperoni all’aceto spezzettati sotto la vinaccia a cui si aggiungevano alcune pere d’inverno anch’esse fatte a spicchi mantenute sotto la vinaccia con un condimento ricavato dall’ultima parte estratta dal miele”. Non vi è dubbio che la storia e la cultura alimentare del Cilento oltre che dalle feste e dalle ricorrenze familiari, siano anche state fortemente segnate dalla presenza dei monaci italo-greci, tra i quali i Basiliani con il loro modello clerico-monastico. Era il modello raffigurato dall’alimentazione abituale del povero che rinuncia al superfluo e non di rado anche al necessario. Come viene descritto nei documenti antichi dei monaci San Nilo da Rossano Calabro (X sec.) – “… al tramonto si nutre di pane e acqua , a volte di legumi cotti o frutta selvatica di stagione, come le bacche di mirto e che in certi periodi mangiava soltanto due volte al giorno in sessanta giorni o si cibava solo di pane raffermo per un anno. Ancora oggi i collegamenti tra religione, religiosità e alimentazione non sono pochi e si possono identificare in tutte le feste patronali, dove in molte località la festa è un momento di revival gastronomico del’antica cucina cilentana.
I tagliolini cotti nel latte è un piatto tipico preparato nel giorno dell’ Ascensione,il piatto deriva da un antichissima usanza dove i pastori donavano latte di capra ai fanciulli del villaggio montano. La leggenda narra che un pastore rifiutandosi di offrire il latte ai bambini del villaggio, fu trasformato in un uccello e condannato da Gesù a vivere da cuculo. O anche il grido di Sant’Andrea che si leva dalle paranze durante la pesca quando è particolarmente abbondante , per onorare il santo dei pescatori e forse per ricordare l’ulivo, pianta dove secoli or sono fu crocefisso il santo con la croce ad X (croce che ancora oggi prende il suo nome). Infine nel Cilento i prodotti della terra non sono solamente la fonte principale del cibo, ma nell’ambito della cultura non materiale erano prima dell’avvento del sistema sanitario e dei presidi farmaceutici in ogni comune anche caricati da valenze terapeutiche. Scrive Vito Teti dalle interviste di Carlo Palumbo di Rofrano che “…nel passato per guarire dai vermi si usavano paste con corallina (gen. Corallinacee) o felce maschia (Dryopteris fillis mas). Nella malaria terzana si adoperava il decotto di camedrio o querciola (Tencrium chamaedrys),nelle risipole i fiori e le fronde di sambuco (Sambucus nigra); per l’ipertrofia prostatica e come diuretico si usava la parietaria ( Parietaria off.) e per il raffreddore fichi secchi infornati, pere e mele secche.Per la digestione le foglie di pesco e per il diabete i lupini (Lupinus albus) “. Sono tutti rimedi che facevano parte di una farmacopea tramandata oralmente dagli anziani, depositari del tradizionale sapere popolare.
* estratto da Le vie del Mediterraneo Gal Cilento a cura di Massimo Cresta edizioni 2001