Gaetano Bonvicini e Carmine De Martino sono stati due imprenditori agricoli con una visione sociale del settore agricolo tra gli anni ’20 e‘60.
Gaetano Bonvicini, originario di Massa Lombarda, alla morte del padre Adolfo, fu costretto ad abbandonare la carriera di ufficiale di Marina, per dedicarsi alla conduzione dell’impresa frutticola paterna. La decisione di comprare il feudo del Cafasso, fu presa da Bonvicini durante un viaggio di piacere con la moglie in Sicilia a bordo del treno Salerno-Reggio Calabria. Durante il viaggio in prossimità della valle del Sele, nella culla della Magna Grecia, guardando dal finestrino, notò che le piante di pesco erano già fiorite, nonostante la primavera non fosse ancora arrivata. Fu colpito dalle condizioni climatiche favorevoli della piana di Paestum tanto da decidersi ad investire nella tenuta di Cafasso, proprietà del Marchese Vincenzo Pinto che aveva sposato la Marchesa Maria Bellelli. La tenuta fu comprata da Gaetano Bonvicini nel 1925, quando inizio l’opera di bonifica dalle acque salmastre del “Capodifiume” che periodicamente allagavano i terreni. In seguito chiamò a lavorare presso di se degli agricoltori esperti e furono impiantati i primi frutteti di pesche e susine. Bonvicini fece realizzare il primo nucleo di edifici in cemento armato, una delle prime esperienze di cemento armato precompresso , che comprendeva una serie di edifici tra cui il magazzino della frutta con annessa sala di lavorazione e che insieme alle residenze coloniche, destinate agli operai agricoli in stile “protorazionalista” dell’epoca, facevano del Cafasso un borgo di grande interesse architettonico.
I nuovi compiti degli architetti erano diventati quelli di utilizzare a fini sociali metodi della produzione industriale di serie, di rielaborare l’articolazione degli spazi interni degli edifici secondo criteri più razionali e di proporre nuove forme di organizzazione dei luoghi. Sebbene sul piano tecnico molte delle innovazioni destinate a rivoluzionare l’impianto strutturale di un edificio (l’uso dei profilati in acciaio e del cemento armato) e la sua organizzazione interna (gli impianti fognari e i moderni sistemi di adduzione e di distribuzione idrica) fossero note già da tempo, solo dopo gli anni Venti esse investirono massicciamente l’architettura.
Il borgo di Cafasso fu trasformato come visione di borgo industriale come aveva fatto Olivetti con Ivrea. E’ antecedente ai borghi della bonifica,tra cui i borghi di Gromola, di Spinazzo e di Cerrelli. Dopo la bonifica delle terre e la costruzione del borgo industriale di Cafasso iniziò la lavorazione e il confezionamento di frutta e verdura, che con il marchio Bonvicini arrivarono ben presto sui banchi dei mercati italiani ed esteri. La lavorazione avveniva nel nucleo della sala ad hoc ( oggi ex tabacchificio) con tre torri di sollevamento .
Bonvicini fece costruire un tratto di ferrovia che collegava l’edificio agro-industriale con lo Scalo di Capaccio per agevolare il trasporto dei prodotti e far entrare i carri merci nel laboratorio. I carri merci una volta caricati venivano trainati da cavalli maremmani allo scalo ferroviario. Ma nel corso del tempo a causa di una serie di difficoltà nei trasporti delle merci spinsero Gaetano Bonvicini a vendere la proprietà del Cafasso. Il Cafasso venne acquistato da Carmine De Martino, deputato alla Camera. De Martino intui da subito che con l’affermarsi del monopolio dei tabacchi voluto dal governo del tempo ( siamo nel secondo dopoguerra) si poteva dare impluso al settore della tabacchicoltura. Fece così costruire attorno al magazzino fatto dal Bonvicini degli edifici con alti pilastri in cemento e ferro con copertura a doppia falda. Pilastri di sostegno, per sorreggere “le ‘nserte” di foglie di tabacco, che le tabacchine infilavano su puntuti paletti.
Un Tabacchificio con una struttura architettonica simile ad una sorta di cattedrale laica che Gillo Dorfles dalle pagine del Corriere della Sera definì un esempio mirabile di architettura agro-industriale. Sul piano socio economico sia Bonvicini che De Martino sono stati pionieri del lavoro femminile tutelato. Ma non solo hanno entrambi contribribuito all’innovazione sia architettonica sia della modello del lavoro agricolo in ambiente dove il concetto de latifondo era ben radicato.
Oggi, questa importante testimonianza di architettura industriale è fruibile al pubblico grazie ad un primo impegno di Legambiente Paestum del Mac ,di Gillo Dorfles e Sovrintendenza che hanno inizialmente sottratto l’edificio ad un uso speculativo, e grazie all’ intervento del Comune di Capaccio che lo ha acquistato e trasformato in uno spazio culturale ed espositivo denominato Next.
Questo articolo è stato realizzato grazie alle informazioni fornite da Lucio Capo alla redazione di zoneblu.net.