George Murphy, biologo delle cellule staminali, insieme al suo team di ricerca della Chobanian & Avedisian School of Medicine dell’Università di Boston, ha recentemente creato negli Stati Uniti la prima banca genetica per provare a dare una risposta valida sui motivi legati alla longevità e dare così una continuità nel processo di analisi ed elaborazione di dati. Per rintracciare i centenari, il gruppo di scienziati ha utilizzato i dati delle liste elettorali, ha svolto una ricerca approfondita degli articoli di giornale, oltre ad aver elaborato i dati forniti dalle strutture di assistenza agli anziani. Dopo un’attenta selezione di valutazione delle abilità cognitive e fisiche, sono stati registrati nella banca dati circa 30 centenari – orgogliosi di partecipare alla ricerca perché sanno quanto sono speciali – ai quali sono stati prelevati dei campioni di sangue. I ricercatori hanno quindi isolato le cellule del sangue e le hanno riportate a uno “stato pluripotente”, ovvero delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Nonostante questo processo di reversione faccia perdere alle cellule molti aspetti della loro età, non altera il loro codice genetico. Ed è proprio da questo punto che i ricercatori hanno deciso di partire: studiarne i fattori genetici che ne determinano l’invecchiamento.Lo studio, anticipato dalla rivista Nature, non è ancora oggetto di pubblicazione ufficiale, ma avanza rapidamente. In questa prima fase, sono stati attivati due approcci differenti e speculari: il gruppo coordinato dallo stesso Murphy – partendo dal dato che una caratteristica dell’invecchiamento è legata al fatto che le cellule perdono alcuni dei meccanismi di controllo qualità nella produzione di proteine e quindi contribuiscono alla generazione di malattie – utilizzando le staminali pluripotenti indotte, hanno ottenuto dei neuroni coltivati in laboratorio. Il risultato è che le cellule cerebrali che sono state generate, sono più silenziose – rispetto ai neuroni derivati dai non centenari – questo perché in condizioni normali spesso spengono il processo del “controllo qualità” delle proteine che vengono prodotte. Ma nel caso in cui venga introdotto un fattore di stress, per innescare una risposta adattativa, ecco che i meccanismi si riattivano perfettamente, riprendendo il lavoro di eliminazione delle molecole danneggiate o nocive.
Fonte: Nature; Fondazione Leonardo