L’isola dei senza memoria di
Yoko Ogawa, traduzioni di Laura Testaverde, edizioni Il Saggiatore
2018.
Nel libro della scrittrice giapponese Yoko Ogawa, si narra di un luogo misterioso e senza nome, tormentato da strani eventi che sconvolgono gli abitanti.
Gli oggetti, insieme ai ricordi ad essi legati, scompaiono misteriosamente, lasciando le persone nell’incertezza più totale.
In un tempo non precisato, su un’isola senza nome l’intera popolazione progressivamente smette di ricordare. Come per un’inspiegabile epidemia della memoria, sparisce l’idea di qualcosa, quindi sparisce la cosa stessa. Un giorno dopo l’altro, l’epidemia colpisce tutto e tutti. Nottetempo un guizzo inatteso, e gli uccelli è come se non esistessero più: cancellati dalla mente, vibrano nell’aria come meteore senza senso. Che cos’erano le fotografie e i francobolli, cosa i frutti del bosco e le caramelle? Che cos’era il suono del carillon, cosa il profumo delle rose? Dimenticati, i fiori vengono gettati nel fiume, per sbarazzarsi di ciò che è inutile oramai. Gli abitanti dell’isola non ricordano più i traghetti, non sanno più andarsene. Gli abitanti dell’isola non ricordano più la funzione di gambe e braccia, non sanno più muoversi. Gli abitanti dell’isola bruciano i libri su un rogo per disfarsi di quegli oggetti di carta che nessuno è in grado di usare. La Polizia Segreta vigila sull’oblio collettivo, perseguitando chi, per cause misteriose, non riesce a dimenticare.
Nell’Isola dei senza memoria di Yoko Ogawa la dimenticanza si fa regime totalitario, sistema di sorveglianza, come nelle migliori distopie e nelle peggiori deviazioni del reale. Una fiaba allegorica e oscura, terribilmente vera, sul potere della memoria e la devastazione generata dalla sua perdita, che equivale alla perdita dell’umanità; sulla speranza della letteratura come ultima traccia del nostro labile passaggio sulla Terra. Yoko Ogawa scrive così il surreale libro nero di un mondo in cui il divenire è svuotamento e la vita persecuzione; in cui alienazione e separazione dal senso sono le uniche costanti nel buio grottesco della natura umana.
Abbiamo perso il contatto con il reale. È necessario tornare a rivolgere lo sguardo alle cose concrete, modeste e quotidiane. Le sole capaci di starci a cuore e stabilizzare la vita umana.